Corpi incorrotti

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Geniusmentis
view post Posted on 10/6/2007, 15:05 by: Geniusmentis




Nell'inverno del 1985, quando l'Italia e l'Europa erano sepolti da una nevicata artica rimasta nella storia, mi trovavo invece in un caliente e polveroso Messico.
Una corriera dell'epoca di Pancho Villa, mi scaricò nella ridente cittadina di Guanajuato per visitare l'attrazione turistica del posto: "El museo de las Momias".

In quella zona la composizione del terreno, il clima e la fauna batterica è tale che i corpi sepolti non vanno in decomposizione ma si mummificano naturalmente.
Il museo è pieno di decine di mummie relativamente recenti, che una strana legislazione funeraria aveva fatto riesumare.
Infatti alla fine dell'800 fu messa una "tassa sul sepolto" che si poteva pagare "una tantum" (170 pesos) e rimanersene sepolti in pace oppure, se era povero, poteva pagare solo pochi pesos, ma ogni anno.
Succedeva quindi che se la famiglia non pagava la tassa (o si estingueva) il corpo del defunto veniva riesumato e assegnato al museo.
La legge è stata abolita cinquant'anni dopo, ma nel frattempo il museo si è arricchito di numerose mummie, una più schifosa dell'altra.
Tra le peggio, la "momia mas pequena del mundo" e quella che sta ancora urlando nella bara...


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Molto carine… image Altrettanto graziose sembrano le mummie della cappella di San Michele di Venzone, vicino a Udine. Si tratta di mummie perfettamente conservate grazie – pare – alla presenza nel sottosuolo di un piccolo fungo quasi evanescente (si dissolve al tatto), ma capace di assorbire gli umori dei cadaveri in modo da essiccarli nel giro di un anno, evitandone la decomposizione.
Sono mummie piuttosto famose, grazie anche a un ammiratore d'eccezione: Napoleone Bonaparte che, tornato in Friuli dopo le campagne del 1797, volle vederle da vicino. E i suoi soldati tagliuzzarono quelle poveri pelli incartapecorite e ne portarono via pezzetti come souvenir.

Una volta le mummie erano "schierate" in semicerchio nell'aula del battistero, con le parti intime pudicamente coperte da un “gonnellino". Ora si trovano invece nella cripta: dieci sono sistemate in cassetti apribili, un po’ come all’obitorio, mentre le cinque più rappresentative sono collocate in urne di vetro. Si tratta di tre uomini e due donne (la distinzione è del tutto teorica e non si notano grandi "differenze", tanto che il gonnellino è opportunamente sparito). Primeggia - noblesse oblige – il Gobbo: il decano, se così si può dire, del gruppo. Si tratterebbe di un esponente degli Scaligeri: il suo corpo fu ritrovato sotto un sarcofago del 1300 con lo stemma della famiglia veronese. In realtà, sembra che non fosse affatto gobbo e che la malformazione sia dovuta al sarcofago scelto, probabilmente troppo piccolo per lui (ma si può? image ).

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E non sono male (nel senso che sono belle repellenti… ) neppure le circa ottomila mummie conservate a Palermo, nelle Catacombe dei Cappuccini...

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Le mummie di Savoca

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Dal sito http://www.geocities.com/siciliaionica/index.html

http://www.geocities.com/siciliaioni...no/savoca.html

La chiesa madre, cattedrale di Savoca, è intitolata a Maria Assunta raffigurata in un grande quadro. Fu edificata attorno al 1130, riedificata nel '400, fu sede dell'archimandrita e degli antichi abati. In stile normanno, ha un portale cinquecentesco, si sviluppa su tre navate all'interno divise da colonne con capitelli in stile romanico. Pregevole l'altare maggiore in marmo lavorato e il coro ligneo. Sulle pareti vi sono affreschi, che allo stato attuale purtroppo non sono in buone condizioni. Al suo interno si trova un cripta, dove in tempi remoti veniva eseguita la mummificazione dei cadaveri dei notabili del paese, per poi venire conservate nella cripta della chiesa dei cappuccini. Dal 1910 la chiesa è monumento nazionale.
A Savoca la morte fu oggetto di un particolare culto in cui convergevano scienza, ritualità e fanatismo. Nel convento dei cappuccini che è del 1614, mediante una botola in legno che si trova sul pavimento della chiesa dell'edificio, si accede a delle stanze sotterranee, chiamate impropriamente catacombe, dove disposte in nicchie ci sono cadaveri imbalsamati di antichi notabili del paese di Savoca, giudici, preti, baroni. 17 di questi stanno appesi in orizzontale ciascuno in una nicchia e indossano eleganti vestiti di seta e scarpe a fibbia dell'epoca. Purtroppo al giorno d'oggi questi corpi mummificati si presentano sfregiate con vernice verde a causa di un atto vandalico risalente agli anni ottanta. Altre 5 mummie sono riposte in urne di vetro, artisticamente lavorate, 12 sono riposte in bare. Tra questi corpi mummificati ci sono anche quelli di 3 bambini.
L'imbalsamazione veniva praticata mediante una tecnica locale, che ha consentito di conservare e fare arrivare fino ai giorni nostre diverse salme in condizioni piuttosto buone. L'imbalsamazione dei morti avveniva cospargendo la salma di aceto e ricoprendola di sale, quindi il corpo veniva steso all'interno della cattedrale che era un luogo ben areato, sfruttando tutte le aperture dell'edificio. Mediante le correnti d'aria si otteneva un rapido ed uniforme essiccamento del corpo che ne garantiva la conservazione per lungo tempo.
L'edificio del convento dei cappuccini, al piano terra ospita una biblioteca il cui patrimonio letterario che si stima fosse vasto e di grande valore è andato in larga parte perduto o distrutto, quindi un refettorio adornato da affreschi pregevoli del frate Gaetano la Rosa, cappuccino del 1608, la cucina e alcune celle; il piano superiore è tutto adibito a celle per i frati.
La chiesa di San Michele è del XVI secolo e si presenta con un bel portale. Al suo interno rimane ben poco, ma l'ambiente di quelle mura spoglie e sgretolate dal tempo e dall'incuria hanno un fascino particolare da vederla scena di numerose mostre d'arte.
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Dal sito http://sicilyweb.com/
Mummie dei nobili di un tempo nelle cripte della chiesa di San Francesco
Foto © Filippo Simone Lo Castro
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Il monaco auto-mummificato

Era un monaco l’uomo ritrovato auto-mummificato in Tibet. Un monaco vissuto intorno al 1475 che, con molta probabilità, conosceva straordinarie tecniche di meditazione che gli permettevano di controllare il proprio corpo rallentando il metabolismo fino al 64%.

Il corpo, identificato come quella del monaco Sangha Tenzin, è stato trovato in una tomba al villaggio di Ghuen, a circa 6000 metri sul livello del mare. Gli abitanti del villaggio sapevano della mummia fin dal 1975, ma la sua esistenza è rimasta sconosciuta ai più fino a pochi mesi fa (Ghuen si trova in una desolata area montagnosa difficilmente raggiungibile e sotto il controllo della Polizia paramilitare indo-tibetana).

Secondo un gruppo di ricercatori, l'uomo di Ghuen sarebbe stato un seguace di un mistico giapponese di nome Kukai, i cui insegnamenti consistono nello spingere il corpo fino ai limiti della resistenza attraverso la meditazione. I seguaci, quasi tutti monaci, cominciavano col nutrirsi di noci e bacche per poi cambiare la propria dieta dopo tre anni e cibarsi solamente di cortecce e radici di alcune specie di pino. Dopo poco più di cinque anni, ridotti allo stremo delle forze, smettevano di muoversi e si dedicavano esclusivamente alla meditazione.

Quando si rendevano conto di essere ormai giunti alla fine, i monaci ingerivano una sostanza liquida estratta da una pianta chiamata urishi che, nel giro di poche ore, li faceva sudare, vomitare e urinare. In questo modo riuscivano ad espellere dal proprio corpo tutti i liquidi, preparandosi ad una morte che sopraggiungeva grazie all’utilizzo di una massiccia dose di arsenico.

Il corpo dell'uomo di Ghuen è perfettamente conservato: i capelli e i denti sono ancora presenti, la pelle non mostra alcuna spaccatura e uno dei due bulbi oculari è disseccato ma ancora al suo posto. Gli organi interni non sono andati in putrefazione. Questo perché il lento digiuno riduceva i grassi e soprattutto distruggeva i batteri intestinali.

Fonte: www.giornaletecnologico.it (19 maggio 2004)

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Dal sito http://www.dslimbiate.it/index.htm

Copyright © 2005 - Ds Group Limbiate

http://www.dslimbiate.it/limb_citta/vita_1.htm

Il mistero delle mummie di Mombello (del Paolo Pini)

La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato (William Shakespeare)

Dopo la morte, gli enzimi fuoriescono dal nucleo delle cellule e iniziano a devastare il corpo. A breve i batteri intestinali producono altri enzimi che cominciano a divorare il cadavere dall'interno, diffondendosi lungo il sistema venoso. Alla fine resta solo lo scheletro. Come arrestare tutto questo? Se fermiamo gli enzimi subito dopo la morte, tutto il processo si arresta. Per bloccare gli enzimi ci sono due metodi: togliere l'acqua di cui necessitano per le reazioni chimiche o distruggere l'ambiente di cui hanno bisogno (essiccazione nel primo caso, eviscerazione nel secondo).

LE MUMMIE EGIZIANE - Gli egizi, dopo l'eviscerazione, riempivano i cadaveri con sacchetti di tela pieni di natron (una miscela di carbonato di sodio e bicarbonato di sodio) che è un ottimo disseccante; poi lasciavano coperto il corpo di natron per cinque settimane. Al termine lavavano la salma con alcool per eliminare i batteri residui e spennellavano il tutto con spezie e resina (non si sa composta da cosa). Secondo la loro religione, ogni persona possedeva una forza spirituale, una vitale e un corpo, ma alla morte il legame tra queste tre si spezzava. Per rinascere e vivere in eterno bisognava riunire le due forze e per farlo, queste dovevano riconoscere il proprio corpo e congiungervisi.

MACABRA COLLEZIONE - All'istituto Paolo Pini, quartiere Affori, c'era una collezione di parti umane imbalsamate e di alcuni cadaveri completi. I reperti sono dovuti all'opera del dottor Giuseppe Parravicino, direttore dal 1901 al 1917 dell'Istituto di Anatomia Patologica del manicomio di Mombello a Limbiate. Erano due cadaveri interi di donna, sei teste, una testa con tutto il busto e altre parti più piccole. I cadaveri sono conservati in maniera perfetta, con tanto di barba, baffi, capelli e persino occhi.

TECNICA IGNOTA - Le parti mummificate dal Parravicino, tutte di degenti morti nel suo ospedale, sono ottenute con una tecnica ancora ignota basata su iniezioni di una miscela di cera, paraffina e solventi, immessa, forse a caldo, con una pompa che il professor Antonio Allegranza sostiene di aver visto prima che andasse persa nel trasloco da Mombello al Paolo Pini. Potrebbe esserne la prova il fatto che nei due cadaveri interi sono visibili due fori, uno all'altezza della vena femorale, l'altro nell'arteria femorale (il liquido iniettato in quest'ultima avrebbe attraversato tutti gli organi, il derma e lo strato sottocutaneo per poi uscire dalla vena femorale). Nel 1921 alla morte dell'arcivescovo di Milano, cardinale Ferrari, al Parravicino fu affidata la conservazione della salma. Purtroppo l'operazione non riuscì, probabilmente perché i tessuti del Cardinale, morto di cancro, erano irrimediabilmente compromessi.

IL CORPO DI MAZZINI - Troviamo cose simili a Lodi, nel museo Paolo Gorini dell'Ospedale Maggiore. In una sala che si trova al piano terra ci sono infatti corpi umani e parti anatomiche perfettamente conservate ad opera di Paolo Gorini, medico dell'ospedale di Lodi, che sperimentò diverse tecniche di imbalsamazione, molte delle quali rimaste segrete. Davanti all'ospedale si trova un monumento in sua memoria. Divenne famoso perché nel 1872 si occupò della mummificazione del corpo di Giuseppe Mazzini, purtroppo non riuscita appieno per il ritardo nell'intervento sul cadavere, che al momento dell'arrivo del medico era già in avanzato stadio di decomposizione.

VAPORI E CAMPANE DI VETRO - Sempre a Milano operò il dottor Attilio Maggia. All'inizio del Novecento divenne piuttosto noto in ambiente medico per i suoi esperimenti di conservazione animale. La vera innovazione consisteva nel fatto che non era più necessario scuoiare ed eviscerare i corpi ma, come ce lo presenta l'avvocato Camillo Martini nel 1915: «... non più sevizie manuali alle salme ma la possibilità che il morto resti addirittura con i suoi vestiti addosso». Il metodo era pubblicizzato per coloro che avevano necessità di spostare le salme in luoghi lontani. I campioni erano esposti a vapori chimici all'interno di campane di vetro. Questi vapori li mantenevano morbidi e flessibili. Una volta estratti, a contatto con l'aria si indurivano e non erano più soggetti alla decomposizione. Lo stesso Maggia ordinò alcuni dei suoi campioni in un museo in Corso Italia al numero 1. Dove sono finite queste cose?

STRANE PROPOSTE IN RETE - Se qualcuno ha il desiderio di essere mummificato dopo la morte può fare un giro nel sito www.summum.org, della Summum Mummification, una società che ha sede in una piramide nel centro di Salt Lake City, nello Utah. Il suo fondatore, Summum Bonum Amon Ra, che sostiene di aver ricevuto la conoscenza da esseri altamente intelligenti che chiama individui di summa, assicura una mummificazione perfetta (con tanto di sarcofago e maschera d'oro) per persone e animali. Tecniche più moderne su www.alcor.org della Alcor Life Extension Foundation di Scottsdale in Arizona, società all'avanguardia nelle tecniche di crioconservazione. Sostanzialmente si offrono di sostituire il sangue con liquido refrigerante e conservare il corpo in azoto liquido a circa centocinquataquattro gradi sotto zero, finché la scienza non trovi un modo di far tornare in vita i morti. Per la modica cifra di cinquatamila dollari i medici della Alcor offrono la conservazione della sola testa.

Oggi gli importanti reperti di Giuseppe Parravicino non si trovano più all'istituto Paolo Pini. Sembra che, dopo la chiusura dell'istituto, l'intera collezione sia stata spostata e dirottata altrove. Forse in qualche reparto dell'Ospedale Maggiore. Nonostante mesi di ricerche, in cui abbiamo avuto l'opportunità di intervistare numerosi personaggi (dai portinai a importanti luminari), non ci è stato possibile rintracciare i reperti. Qualcuno sembrava sapere, ma una certa omertà, peraltro assolutamente ingiustificata, gli impediva di dirci troppo. Riteniamo che i reperti, per quanto macabri e crudi, appartengano alla storia scientifica di questa città e, come tali, meritino una giusta collocazione. Se qualcuno sapesse qualcosa è pregato di contattarci al più presto.

dal Corriere.it/Vivimilano
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Le Catacombe dei Cappuccini sorsero come semplice cimitero e il loro attuale sviluppo lo si deve, per certi versi, al caso.

I frati che si stabilirono a Palermo nel 1534 ottennero una piccola chiesetta, dedicata a S. Maria della Pace. Qui, sul lato meridionale, seppellivano i confratelli in una grezza cisterna scavata nel tufo, dove i cadaveri venivano calati dall’alto e rimanevano ammucchiati alla rinfusa. Quando la fossa diventò insufficiente, i frati decisero di dotarsi di un cimitero più ampio e iniziarono lo scavo delle catacombe, dietro l’altare maggiore.
Ma, nel trasferire le salme, ne trovarono quarantacinque “miracolosamente” incorrotte. Così scrissero le cronache del tempo:

“… nel 1599, si fece la traslazione dei corpi dalla vecchia sepoltura alla nuova. All’apertura della fossa per recuperare le ossa, non si sentì nessun odore cattivo, si ritrovarono 45 corpi di frati tutti sani ed interi a tal punto di essere riconosciuti, alcuni in particolare avevano i capelli e la barba, a guardarli sembravano che dormissero e non che erano morti da tanto tempo. Tale fatto fu così travolgente che il sagrestano dato che in quei giorni doveva venire il frate provinciale in visita, ritenne opportuno staccare la testa di uno di questi frati per porla in un vassoio per fargliela vedere...”

Da questa inaspettata scoperta venne probabilmente l’idea di trasformare le catacombe in un cimitero sui generis, dove si preservavano i cadaveri dalla decomposizione e li si mettevano in esposizione.

Il cimitero venne aperto anche agli estranei: per quasi tre secoli, dal 1599 al 1881, i notabili di Palermo affidarono ai Cappuccini il compito di mummificare e custodire i loro defunti.

I cadaveri venivano posti in colatoi (doccioni di creta che potevano contenere anche 10 corpi) dove rimanevano per circa un anno: il tempo necessario perché si decomponessero in modo naturale raggiungendo un primo stadio di essiccamento. Venivano poi trasportati in un recinto chiuso e ventilato, lavati con acqua e aceto, rivestiti e collocati nelle nicchie dei corridoi. Ma potevano rimanere lì solo se i parenti andavano a trovarli e portavano loro la cera per tre anni consecutivi. Altrimenti venivano rimossi, così come prevedeva l’articolo 41 del regolamento emanato dal municipio di Palermo nel 1868.

In periodi di gravi epidemie, per la conservazione, si usava immergere i cadaveri in un bagno di arsenico o di latte di calce ed è questo il metodo utilizzato per il cadavere di Antonio Prestigiacomo riconoscibile dal colorito rossastro.

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Antonio Prestigiacomo



Il trattamento a base di iniezioni di sostanze farmacologiche venniva usato soltanto occasionalmente. Se ne ignora la metodica, ma sembra fosse particolarmente efficace. Fu adottato dal dottor Solafia per il cadavere della piccola Rosalia Lombardo (deceduta a due anni il 6 dicembre 1920), che rappresenta la mummia meglio conservata delle Catacombe ed è esposta ai piedi dell’altare oggi dedicato a Santa Rosalia.

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Rosalia Lombardo




Cita:
Un caso a parte merita il corpo di Rosalia Lombardo, nata nel 1918 e morta il 6 dic.1920. Il suo corpicino fu imbalsamato dal dr. Solafia e si presenta fresco,come se la bimba dormisse: occhi chiusi e le palpebre con le ciglia, la pelle morbida e colorita e sulla testa un fiocco giallo a trattenere i capelli che ricadono a boccoli sulla fronte.
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Ciò che non è stato detto del Santo Lama Itighelov però, a quanto leggo nel primo intervento a firma Tomàs de Torquemada, è che il corpo (non mummificato, cosa debitamente sottolineata dall'estensore dell'articolo) non solo si è conservato quasi perfettamente, ma "la testa, rasata, suda. Le mani, morbide, sono calde. Il cervello trasmette impulsi elettrici. Le unghie crescono. Il corpo perde e riacquista peso. La pelle, tesa, è elastica. Gomiti e ginocchia si muovono. Naso ed orecchi sono dove ognuno li ha. Gli occhi, intatti, stanno chiusi: qualcuno, raramente, nota le palpebre sollevarsi. Il cuore sembra pronto a riprendere il battito. Vene e arterie sono piene di sangue, di gelatinosa consistenza." (da “la Repubblica”, domenica 13 marzo 2005, p. 39, pezzo di Giampaolo Visetti)

Lo stato di perfetta conservazione del cadavere è dovuto al conseguimento del Grande Vuoto di cui parlano taluni testi di Alchimia tantrica tibetani.
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"Così egli vigila presso il corpo interno sul corpo, così egli vigila presso il corpo esterno sul corpo, di dentro e di fuori egli vigila presso il corpo sul corpo. Egli osserva come il corpo si forma, osserva come il corpo trapassa, osserva come il corpo si forma e trapassa. "Ecco il corpo": tale sapere diviene suo sostegno, appunto perchè esso serve alla cognizione, alla riflessione; ed egli vive indipendente e nulla brama al mondo. Così, o monaci, vigila un monaco presso il corpo sul corpo".

-Sutta Pitaka, Majjhima Nikaya, 10

Onore al 'Dio Rinato'.

Vedere assolutamente qui: http://www.politicaonline.net/forum/showth...threadid=138788
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LE MUMMIE GIAPPONESI


Nonostante il Giappone sia un paese piuttosto umido e abbia caratteristiche ambientali e climatiche sfavorevoli alla conservazione naturale delle salme, tra le montagne sacre della prefettura di Yamagata, nella zona settentrionale di Honshu (l'isola principale del Giappone), ci sono diversi templi che ospitano corpi mummificati di monaci che hanno praticato l'esperienza dell'auto-conservazione, quasi una forma di autosacrifìcio.

Il sacerdote Kukai, detto anche Kobo Daishi (774-835), diede vita in Giappone a una delle sette del cosiddetto buddismo esoterico: la disciplina dello Shingon, che letteralmente significa "parola vera" ed è la traduzione giapponese del termine sanscrito mantra. Era caratterizzata da riti simbolici e diagrammi che i profani, per quanto colti, non erano in grado di comprendere e aveva lo scopo di raggiungere la "buddità". Mentre nella maggior parte delle dottrine la si poteva conseguire soltanto dopo la morte (o meglio dopo un gran numero di morti e rinascite successive), nel buddismo esoterico era possibile realizzarla immediatamente. Chi vi aderiva, si sottoponeva a forme prolungate di digiuno così da alterare i parametri corporei. La dieta degli asceti rendeva il corpo estremamente resistente alla decomposizione disidratandolo a poco a poco e consentiva di ottenere una perfetta automummificazione, ovvero di spalancare i cancelli dell'immortalità divenendo "Buddha nel proprio corpo". Questo stato, definito Nikushin-Butsu, permetteva di accedere a una nuova forma d'esistenza, eterna e incorruttibile. Poi, una volta morti, i loro corpi venivano collocati nei templi e adorati come statue.

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La mummia del monaco Tetsumonkai, morto a 62 anni, pesa solo 5 kg.
Il colore nero-bruno della pelle è attribuito alla fuliggine delle candele.



Lo studioso Iwataro Morimoto è tra i pochi a essersi interessato delle mummie del Giappone. Nel 1961 apprese che erano state scoperte sei mummie di monaci buddisti, custodite in speciali ambienti all'interno di templi dorati, dove erano oggetto di culto (ma solo un piccolo gruppo di fedeli era al corrente della loro esistenza). Storici, antropologi, medici, studiosi di tradizioni popolari e religioni rimasero affascinati da quei ritrovamenti e andarono alla ricerca di altri corpi di questi monaci vissuti per la maggior parte tra il XII e il XIX secolo.

Alcuni di essi erano seguaci di un'altra forma arcaica di buddismo, che miscelava elementi di culto delle montagne e sciamanesimo: lo Shugen-do. I monaci che dedicavano la propria vita allo Shugen-do si ritiravano dal mondo in un rigido ascetismo: vivevano in cima a ripide montagne, s'immergevano per ore in cascate d'acqua gelida e rimanevano a lungo seduti in ambienti invasi dal fumo del peperoncino bruciato. Man mano che si avvicinavano alla vecchiaia, riflettevano sulla morte: se, attraverso l’autodisciplina, fossero riusciti a convertire la transitorietà della carne in qualcosa d'immutabile ed eterno, avrebbero potuto conquistare la perfezione e diventare dei Buddha. Per questo decidevano di automummificarsi. Morimoto e i suoi colleghi rimasero talmente colpiti da tali racconti che decisero di analizzare a fondo la questione. Visitarono i santuari buddisti ottenendo, non senza difficoltà, il permesso di spogliare e studiare le mummie, arrivando alla conclusione che la storia dell'automummificazione era vera.

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La mummia del monaco Tetsuryukai


Per automummificarsi i monaci seguivano una dieta molto rigorosa per tre anni, periodo in cui riducevano l'ingestione di liquidi e si astenevano dal mangiare alimenti essenziali: riso, orzo, fagioli di soia, fagioli rossi, semi di sesamo, miglio e sorgo. Si limitavano a sbocconcellare cortecce di pino o semi di torreya e a sorseggiare, di tanto in tanto, ciotole di lacca ricavate da resine d'albero. Quando iniziavano a perdere peso, i monaci ponevano attorno a sé gigantesche candele accese per disseccare ulteriormente il proprio corpo col calore. A poco a poco diventavano pelle e ossa e s'indebolivano fino a patire i tormenti dell'inedia. A questo punto annunciavano di essere pronti a morire e si facevano seppellire vivi in cavità di pietra abbastanza grandi per un uomo seduto nella posizione del loto o in bare di legno, con un piccolo foro per respirare. I monaci tumulati dovevano suonare una campanella a un'ora stabilita e, quando questa non sarebbe più stata udita, anche il piccolo spiraglio veniva occluso. Soltanto dopo mille giorni qualcuno sarebbe tornato a vedere se il corpo si era mummificato cosa che, a dire il vero, non sempre avveniva. Talvolta, pur constatando che i loro maestri erano rimasti immuni dal degrado, i discepoli che aprivano i sepolcri volevano assicurarsi che il processo si completasse. Riponevano allora il corpo in una tomba sotterranea per altri tre anni e lo disseccavano ulteriormente con altri ceri per conservarlo più a lungo.


Liberamente tratto da Hera n° 65 – giugno 2005
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La tomba di Lenin, che si trova nel mausoleo omonimo della Piazza Rossa, è dotata di un sofisticato sistema computerizzato che mantiene costante la temperatura e regola uno speciale impianto d'illuminazione che magicamente rimuove i pochi difetti sulla sua pelle. I costi di mantenimento sono ingenti, si parla addirittura di 1,5 milioni di dollari all'anno finanziati, dal 1991, dalle donazioni di un fondo fiduciario.
La salma è tuttora ispezionata e pulita due volte la settimana da specialisti dell'Istituto Nazionale di Medicina e ogni 18 mesi viene spogliata e immersa in una vasca piena di sostanze chimiche tra cui cera di paraffina.

Yuri Denisov Nikolskij, attuale custode di Lenin, ha sottolineato che il corpo è in buone condizioni e che, se gli saranno prestate le necessarie cure, potrà restare nel mausoleo almeno per altri 100 anni. La temporanea chiusura della tomba avvenuta un paio di anni fa, ha però riattizzato la questione di una possibile definitiva rottura col passato. La Chiesa Ortodossa, il Rabbino-capo e la Direzione Spirituale Centrale dei musulmani chiedono che Lenin venga normalmente sepolto. A motivare la pretesa non è il giudizio sul suo operato, le comunità religiose reputano semplicemente che esporre un defunto non sia consono alla civiltà moderna. Agli inizi del '90 anche Boris Eltsin espresse l'intenzione di rispettare le ultime volontà di Lenin e di trasferire la salma a S. Pietroburgo, ma la dichiarazione accese feroci controversie sollevando le proteste dei partiti di sinistra, in particolare del leader politico Gennadi Zyuganov (e le blande lamentele delle agenzie di viaggio). Anche l'attuale premier Putin si è mostrato disponibile a un dialogo sulla questione, ma sembra distante il giorno in cui il mausoleo chiuderà i battenti: i moscoviti s'oppongono fieramente all'intenzione di smantellarlo. A loro modo di vedere Lenin è un pezzo di storia che non si può distruggere e la mummia, la reliquia più sacra del comunismo sovietico e personificazione della Rivoluzione, deve restare al suo posto.

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Sintesi e riadattamento di un un articolo/dossier di Antonio Rossi pubblicato su Hera n° 65 (giugno 2005)
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La mummia terrorizzata

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Il volto contratto in una smorfia di terrore, le mani a coprire gli occhi. La paura di morire le è rimasta fissata addosso e, dopo 600 anni, è arrivata fino a noi. Insieme al suo corpo mummificato, perfettamente conservato, scoperto per caso in Amazzonia. Questa donna pietrificata dal panico apparteneva alla tribù dei Chachapoyas, i "guerrieri delle nuvole" come li chiamavano i vicini e rivali Incas, e si è conservata in perfette condizioni grazie alle arti imbalsamatorie del suo popolo.

La mummia è stata ritrovata in una caverna per la sepoltura, destinata anche al culto, scoperta nella foresta pluviale peruviana. E' stato un agricoltore ad avvertire gli scienziati dopo averla trovata per caso mentre era al lavoro in quella zona. Dalla volta nascosta sono emersi preziosi manufatti, ceramiche, tessuti, pitture, oltre al corpo della donna e alla mummia di un bambino, che riposavano insieme. Sulle circostanze della loro morte rimane il mistero.

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Come del resto ben poco si sa della loro tribù, i Chachapoyas: biondi, alti, di pelle chiara, erano probabilmente originari dell'Europa. La loro era una delle civiltà più progredite di quell'area. Dall'800 al 1500 furono alla guida di un regno che si estendeva su tutte le Ande. Perfino il loro nome originale è ignoto. Quello che è arrivato a noi è il soprannome dato loro dagli Incas, che li conquistarono: "gente delle nuvole", per le regioni elevate che i Chachapoyas abitavano nella foresta.

La scoperta del sito è considerata di grande importanza dagli archeologi che lo hanno portato alla luce, e le fotografie delle due mummie hanno affascinato il popolo della Rete. Che ha subito iniziato a fare congetture su quelle smorfie di dolore. Non è possibile, dicono alcuni, che il viso sia rimasto fissato in quell'espressione durante l'imbalsamatura: è più probabile che sia stato mummificato per cause naturali. Ma qualcun'altro obietta, commentando un articolo che riporta la scoperta, sul sito dell'Evening Standard, che può essere semplicemente opera del tempo. Le gengive si sarebbero ritirate col passare degli anni consegnando all'eternità quest'immagine angosciata, da cui è così difficile distogliere lo sguardo.


www.repubblica.it - 11 gennaio 2007

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